Dialetto Rignanese

La lingua parlata è una cosa viva, in un continuo modificarsi nel tempo, e i dialetti devono vivere non perché sono necessari, ma perché sono lo strumento che consente a determinate culture e tradizioni di sopravvivere.

Con la Pro Loco, il Comune ed il Laboratorio Teatrale siamo felici di aver iniziato da tempo un importante lavoro di recupero e valorizzazione del nostro dialetto perché rappresenta un grande patrimonio culturale immateriale da non disperdere e tramandare alle nuove generazioni.

Come non ricordare, a tal proposito, i laboratori e le tante iniziative nelle scuole con gli incontri tra i giovani e gli anziani o gli spettacoli teatrali realizzati dagli alunni grazie alle insegnanti o dalle Compagnie Teatrali Amatoriali (coronati anche dai successi nel Concorso Nazionale “Salva la tua lingua locale”, indetto dall’UNPLI e da ALI, che hanno visto protagonisti nel 2017 l’I.C. Olga Rovere e la classe VB della Scuola primaria con lo spettacolo “L’Arca partirà? Solo San Crispino lo sa!” scritto e diretto dalla maestra Tiziana D’Ortenzi e, poi, sia nel 2019 che nel 2020 la Compagnia Teatrale “I Teatrandi” con gli spettacoli “Elvira La Levatrice” e “Il segreto di Vannozza” sempre scritti dalla maestra Tiziana D’Ortenzi). Così come ultima in ordine di tempo ma non meno importante, l’iniziativa “Passaggio della memoria” con l’installazione lungo il centro storico, in alcune aree individuate tra piccoli cortili, lunghe scalinate o semplici archi, di targhe o mattonelle in ceramica decorative come arredo urbano che riportano vecchi proverbi, frasi o poesie in dialetto rignanese. “Passaggio della memoria”, pertanto, sia come abbellimento ed attrattiva turistica originale che come attraversamento fisico degli spazi caratteristici del luogo ed itinerario culturale importante per la trasmissione della cultura… affinché non se ne perda la memoria.

Dedichiamo, pertanto, quest’opera di valorizzazione e tutte le iniziative ad alcuni personaggi della Rignano passata che tanto hanno amato la nostra cittadina e che ogni giorno regalavano ad ognuno perle autentiche di genuinità con la loro parlata in dialetto o con scenette di vita quotidiana, facendo emergere modi di dire e di fare legati ad una saggezza che faceva parte di un tempo passato: Leone Dolci, Romeo Papini, Giancarlo Pennacchini e Alfredo Arrivi.

Ed abbiamo coinvolto alcune persone (quali, tra gli altri, Vittoria Dolci, Tiziana Maciocchi e Elena Rasi) e tutta la comunità in questa riscoperta delle nostre radici e del legame profondo con la nostra cittadina. Ricerca che, attingendo essenzialmente da fonti orali e mnemoniche (le parole che seguono sono, infatti, modi di dire che si riferiscono a termini usati nella prima metà del 1900, la lingua dei nostri nonni), ha richiesto notevole e paziente dedizione, compensata dalla gioia di un lavoro importante per tutti: la necessità di recuperare un patrimonio prezioso, quello delle lingue locali, prima che scompaiono, prima che sia troppo tardi.

 

Lessico rignanese e modi di dire

‘a capatura: quello che rimane di qualcosa (frutta, verdura o altro).

‘a catana: tascapane dove si metteva da mangiare e bere.

‘a ciuvera: quando si portavano i cordelli (gregne) all’ara.

‘a cuicchia: posto dove vengono lasciate le uova fatte; oppure gruppo di persone dello stesso parere o che si trovano per dare sostegno ad un’idea.

‘a cupella: serviva per portare fuori (fora) l’acquato o acqua.

‘a femminella: pezzo di ferro piatto con una spaccatura.

‘a funa: era una corda lunga che serviva a legare una soma di legna sopra l’immasto o a legare il somaro a lungo per farlo mangiare.

‘a lavatora: arnese di legno dove si metteva ad asciugare la conserva.

‘a marraccia: arnese di ferro, fatto quasi a mezzaluna, per tagliare legna o altro.

‘a mattara: panca rettangolare di legno, dove si conservava il pane.

‘a miccia: la somara femmina.

‘a muta: significa il cambio di persone che si faceva durante la trebbiatura del grano con orario 4-8, 8-12, 12-16, 16-20. L’ultimo turno delle ore 20 dormiva all’ara perché doveva riprendere il lavoro alle 4 del mattino. Il personale: uno alla meta di grano; due gregnaroli; uno all’imboccatura (aveva una roncetta per tagliare la gregna); uno camone fina; uno camone più grosso; uno ai sacchi (quando usciva il grano dalla bocchetta).

‘a pajiarozza: cumulo di fieno o paglia; oppure piatto da portata troppo pieno e alto.

‘a pajina: muffa.

‘a parannanza o ‘o zinale: grembiule per chi sta in cucina.

‘a pasima: affanno; persona con asma.

‘a pettinicchia: pettine con denti sia da una parte che dall’altra.

‘a pistarola: attrezzo di legno a forma quadrata o rettangolare, con fori, che terminava ad imbuto, dove si pestava l’uva per fare il vino.

‘a provenna: qualcosa da mangiare.

‘a pulacca: specie di corpetto o gilet per le donne.

‘a rada: fatta da due pezzi di legna, legati con il fil di ferro a dei pezzi di canna stretti l’una all’altra dove si mettevano ad asciugare i carozzi (fichi secchi).

‘a rufala: forfora.

‘a seta: setaccio con rete fina.

‘a sgubbia: attrezzo agricolo che serviva per togliere il seccume dalle olive.

‘a sivala: recipiente di coccio dove si lavano i piatti.

‘a mmazzatora: mattatoio.

‘e busciche: bolle di sapone in aria; vesciche.

‘e cianche: le gambe.

‘e rozziche: ruote piccole di legno che si facevano da un tronco d’olmo e servivano per fare carrettelle per giocare. Le due davanti sterzavano.

‘e ruciole: bollicine che si formano in bocca.

‘e setele: piccole ferite o tagli sulle mani o sui piedi per motivi di lavoro o altro.

‘e stefine: rodi appena nati.

‘e trosce: pozzanghere d’acqua.

‘e verte: erano bisaccie che si mettevano sopra i somari o a tracolla (più piccole, strette e leggere) per mettere da mangiare.

‘i guarnelli: era la parte di sotto ‘a pulacca (cioè, la gomma di oggi).

‘mpiccetta: persona che si intromette negli affari altrui.

‘na bardella: molto sudore.

‘na llamata: una frana.

‘na manciata: un pugno di qualcosa.

‘na rasola: un piccolo quadrato di terreno.

‘nguattare: nascondere.

‘ntruja’: mischiare qualcosa con altro.

‘o ‘mbottatore: l’imbuto.

‘o ‘mbratto: misto di acqua, semola ed altro che si dava da mangiare alle galline.

‘o canchino: reggi porta (cerniera).

‘o concone: recipiente per prendere l’acqua alla fontana.

‘o corojo: panno o fazzoletto grosso intorcigliato e avvolto; formava un cerchietto che si metteva in testa e serviva per trasportare cose.

‘o cucchimo: recipiente con manico e becco che si metteva accanto al fuoco per riscaldare l’orzo o l’acqua, oppure a sciogliere l’olio quando si gelava.

‘o fuso: arnese di legno per filare la lana.

‘o gnommero: gomitolo di lana.

‘o luffo: l’anca.

‘o mucco o ‘o mucio: il viso.

‘o munnulo: bastone con straccio umido o fatto col sambuco per pulire il forno dalla cenere.

‘o pedicinetto: piccolo fascio di grano, che si portava in mano o nel sacco, di piccole dimensioni.

‘o piezzo: pezzo o parte di legno.

‘o pilotto: dare tormento e fastidio agli altri.

‘o rinciappulo: fare dei rammenti o cuciture di stoffa o indumenti, arrotolando il tessuto se è più lungo.

‘o sarrecchio: attrezzo di campagna formato da lama e manico di legno che serve per tagliare il grano.

‘o scallino: barattolo di latta con due lenchi alle estremità per legare un pezzo di fil di ferro. Dentro si metteva un po’ di fuoco con carbone, con sopra della cenere, e si portava a scuola, nei banchi per riscaldarsi.

‘o scorzo: recipiente dove si preparava da mangiare al maiale; si metteva in testa ed era fatto di legno, con due manici. Veniva utilizzato anche come strumento di misura equivalente a circa 15 kg.

‘o sporzino: lacci per scarpe o pezzi di lacci o spago messi al collo.

‘o suro: tappo di sughero per bottiglia.

‘o zeppolo: pezzo di legno con punta affilata, che si usava in campagna come forchetta.

‘u bucaletto: era un recipiente di coccio con beccuccio, che serviva per cacciare vino da un recipiente più grande o a prendere acqua fresca.

‘u capistero: un arnese di legno che serviva per scegliere i legumi (ceci, fagioli, fave).

‘u cascante: un arnese grande circolare con tre piedi di legno ed una corda in mezzo ed un gancio al centro che serviva per conciare (pulire) fagioli, fave, ceci.

‘u codarizzo: osso sacro.

‘u conciarello: un arnese piccolo circolare con fondo di rete che serviva a conciare (pulire) granturco, ceci e fagioli.

‘u filarello: arnese di legno, a pedale, per filare la lana che si avvolgeva ad un rocchetto in alto.

‘u piluccio: pentola di coccio dove si cuocevano i fagioli o si metteva a riscaldare il vino vicino al fuoco.

‘u puccio: persona poco seria o affidabile; bambolotto.

‘u ranco: crampo.

‘u riverboro: raggi di luce che entrano in casa dalla finestra.

‘u roncio: arnese di ferro a mezzaluna, che da una parte fa da marraccia e sopra ha due ferri per tagliare.

‘u terroso: sull’ara, durante la trebbiatura, quello che rimaneva per terra, veniva spazzato con la scopa (rimaneva più terra che grano).

‘u trocchio: recipiente fatto di cemento, dove mangia il maiale.

’Mbottatore: imbuto.

’Mbratto: misto di acqua, semola ed altro che si dava da

’Mbriacone: una persona che beve alcolici. Ubbriacone.

’Mbroja mestieri: Persona che fa tutti i mestieri.

’Ngiuria: sgrida, rimprovera.

’Ngiuriato: sgridato.

’Nguattare: nascondere.

’Ntrujà: intrugliare, mischiare qualcosa con altro.

’Ntrujo: intruglio.

A cazzola: persona o gruppo di persone sedute fuori dall’abitazione o per strada a parlare.

A celo: giocare a nascondino.

A lippe o a nizza: gioco da monelli composto da due pezzi di legno (uno lungo ed uno più piccolo). Il lungo faceva da battuta ed il piccolo veniva lanciato.

A padollo: un trampolo alto dove si mettevano a dormire le galline.

A pettorina o a callarina: mettersi seduti o in piedi a prendere il sole.

A ruzza’: significa giocare.

A scoppa’: quando si sbattono i panni nel fare il bucato.

A streppa’: lavorare il terreno, togliendo le erbacce ed i rodi, per poi arare.

A zuga’: quando si rivoltano i panni, soprattutto le lenzuola.

Acquareccia: posto dove si poggiava il concone, in cui rimaneva sempre acqua.

Acquariccio: dove nasce l’acqua.

Allalla’: il gioco dell’altalena.

Allappa: acerbo.

Ara: Dove si puliva il grano.

Arcione: Legno curvato ad arco che si mette sulla sella (l’immasto do’ somaro)

Arenga: Aringa.

Aridaje: Ancora.

Arifreddore: Raffreddore.

Aritirasse: tirarsi indietro.

Arivanzata: Avanzata.

A seja: Sedia.

A semmala: Crusca.

Assogna: Grasso di animale.

Attente: Attenzione.

Ausulare: ascoltare, spiare.

Ballette: Sacchi di iuta.

Balloni: Grandi teli.

Bannella: cerniera più lunga.

Barba onta: Mento unto.

Bardella: Madido o bagnato di sudore.

Battecca: bacchetta.

Battilonto: Lardo battuto, attrezzo per tagliare il grasso.

Battocco: pendente della campana.

Bavarola: bavaglino.

Bellico: ombelico.

Bettine: Recipienti di terracotta per l’olio.

Biconzo: bigoncia.

Biocca o locca: chioccia gallina che cova le uova.

Bisacce: Due tasche poste sull’asino.

Bisciola: biscia.

Blusetta: Camicetta.

Bocche’: Mazzo di fiori nel vaso, bouquet.

Boccia: bottiglia.

Boccioni: bottiglioni.

Brance: Foglie di broccoli.

Bricchetto: Recipiente per scaldare il latte.

Bricocala: albicocca.

Brocchili: broccoli.

Brocchili strascinati: Broccoli ripassati in padella.

Brodo insegato: brodo freddato.

Bucaletto: Recipiente di coccio con beccuccio.

Budello: Tubo.

Budelluzzi: Intestino di maiale essiccato.

Busciche: Bolle di sapone, vesciche.

Caciara: confusione.

Cala giù: Scendi.

Callaro: Paiolo, caldaio.

Callarroste: Castagne cotte, caldarroste.

Camiciola: Camicietta.

Canala: Grondaia.

Canchino: Cerniera.

Canestra: Cesta.

Canuccio: Un cane piccolo.

Capatura: Quello che rimane di qualcosa (frutta, verdura o altro).

Capezza: Corda per guidare l’asino, cavezza.

Capistero: Arnese di legno che serviva per scegliere i legumi

Capiti: tralci delle viti più grandi; non portano uva e sono commestibili.

Capoccia: testa.

Caravina: Piccone.

Carciofili: carciofi.

Cariolo: Il girello del bambino.

Carozzi: fichi secchi.

Carrà l’oliva: Pulire le olive dalle foglie.

Carraccio: Solco che forma l’acqua sulla terra.

Carzoni: Pantaloni.

Cascante: un arnese, grande e circolare, con tre piedi di legno ed una corda in mezzo con un gancio al centro, che serviva per conciare (pulire) fagioli, fave, ceci.

Catana: Tascapane, dove si metteva da mangiare e bere.

Cavala: rubinetto della botte.

Cavallatico: era la parte di grano (la quarta, la quinta, ecc.) spettante al Comune per il godimento che questo dava del terreno per la semina del grano.

Cavoletta: Rubinetto.

Cazzola: Pausa o momento di riposo di persona o gruppo di persone sedute fuori dall’abitazione a parlare.

Cecolino o puricello: Brufolo.

Cellettino: uccelletto.

Celo: Il gioco del nascondino.

Centorino: Cinta per i pantaloni.

Ceppara: grande cespuglio.

Cerne: passare a setaccio, con rete fina, farina, polenta o altro.

Cerqua: quercia.

Che giannetta: che tramontana o vento freddo.

Che lecche: botte forti.

Ciafrelle: ciabatte.

Ciammella: ciambella.

Ciammellone: Dolce con uova e farina ed altri semplici ingredienti.

Ciamorro: raffreddore.

Ciampanelle: Perdersi in chiacchiere e non lavorare.

Cianche: gambe.

Ciancicato: sgualcito; masticato.

Ciarabbardieri: Persone che vanno gironzolando.

Ciarisemo: Ci siamo di nuovo.

Cimicetta: Puntina.

Cinciolosa: Tipo di insalata selvatica.

Cioce: Ciabatte.

Ciuccetti: I codini ai capelli.

Ciuera: Legni e teli posti sulla schiena dell’asino.

Ciuetta: Civetta

Ciufolo: ciuccio o flauto.

Ciumachelle: Piccole lumache.

Ciuverà: Quando si portavano i “cordelli o gregne all’ara”.

Coderizzo: Osso sacro.

Cofana: Recipiente simile a un secchio.

Colonnetta: comodino o tavolinetto da notte.

Commare: madrina, comare.

Commattece: Adoperati, gestiscilo.

Commattuto: Ho combattuto, ho faticato, ho fatto.

Communa: Comune.

Compare: padrino, anche l’amico di un’avventura qualsiasi.

Conciarello: Un arnese piccolo circolare con fondo di rete che serviva a conciare (pulire) i legumi.

Concone: Recipiente in rame per prendere l’acqua alla fontana.

Connito: Condito.

Cordello: Fascetto di grano.

Corojo: Panno o fazzoletto grosso attorcigliato e avvolto; formava un cerchietto che si metteva in testa e serviva per trasportare cose, come un “concone”.

Corrareccia: Scappare di corsa.

Cotica de capelli: Cuoio capelluto.

Cotogni: Le mele cotogne.

Credenzone: Armadio, grossa credenza.

Cregne: Fascetti di grano.

Crocile: Interiori del pollo, gricile.

Cucchimo o Cuccuma: recipiente con manico e becco che si metteva accanto al fuoco.

Cuicchia o covicchia: posto dove vengono lasciate le uova fatte dalle galline; covata.

Cuje: Marce, cattive, andate a male (riferito alle uova).

Cupella: Serviva per portare in campagna l’acquato o acqua.

Cupelletta: piccolo contenitore in legno per il vino.

Curioli: Stringhe molto fini di cuoio, adoperate principalmente per legare scarpe di campagna.

Dannarola: persona che combina guai.

Deligerito: Digerito.

Deta: dita.

Deto: dito.

Dicamella: tegame.

Diceneguardi: Dio ce ne guardi, che dio ci aiuti, ci riguardi.

Dignili: Diglielo, dillo a lui.

Dimmolo: Dillo a me, me lo dici.

Dindarolo: salvadanaio.

Doluto: Mi ha fatto male.

Dovello: Dove è.

Du Vaga: Due chicci.

È ‘n pipinaro: c’è molta gente, folla.

Erbetta: Prezzemolo.

Essili: Eccoli.

Faccenne: faccende.

Facotto o fagotto: Tanti panni racchiusi in un telo annodato.

Fanga: Fango.

Farcia: La falce.

Fascina: Piccoli pezzi di legno legati.

Fatto a roncio: Fatto male.

Femminella: Pezzo di ferro piatto con una spaccatura o pezzo della cerniera dove si inserisce l’agugliotto.

Ferraro: Il fabbro.

Fetare: Deporre un uovo, anche puzzare.

Fiare de foco: le fiamme di fuoco.

Ficcanaso: Impiccione.

Fijimo: mio figlio.

Fijarello: Un bambino.

Filarello: Arnese di legno, a pedale, per filare la lana che si avvolgeva ad un rocchetto.

Filo mulino: via vai, avanti e indietro per fare qualcosa.

Finente: Fino a.

Focatico: era una tassa comunale, pagabile in esattoria, inerente a beni posseduti.

Foja: foglia.

Fora: fuori, in campagna.

Fornetto: loculo cimiteriale.

Fratimo: mio fratello.

Fratito: tuo fratello.

Froce: narici.

Funa: Corda lunga che serviva a legare una soma di legna

Gallinaccio: tacchino.

Gallinaro: pollaio.

Gallozzelli: funghi galletti.

Garofili: garofani.

Gattarola: buco nella porta per far entrare-uscire il gatto.

Ghiottera: qualcosa buona da mangiare, golosità.

Ghirba: tanica, grosso recipiente per acqua.

Giannetta: tramontana o vento freddo.

Giocarelli: giocattoli.

Giune: laggiù.

Giustite a vesta e a maja: aggiustati la gonna e la maglia.

Giustite be’: aggiustati bene.

Gnagnera: sporcizia agli occhi, cispa.

Gnalaiditti: glielo hai detto.

Gniciuno: nessuno.

Gnommoro: gomitolo.

Gran fa’: Meno male che, è già tanto che.

Granaretto: Ripostiglio per grano.

Gratiquala o quatricola: Graticola.

Guainelle: carrube.

Guarnelli: Gonna composta da più strati che costituiva la parte di sotto della “pulacca” (cioè la casacca)

Guazza o quazza: Rugiada.

I curioli: stringhe molto fine di cuoio adoperate principalmente per legare scarpe di campagna.

I legacci: pezzi di elastico o molla di qualsiasi tipo che serviva per tenere su i pedalini.

I piri: gradini per scala (pezzi di legno).

I sinsili: scaglie di vetro (pezzetti piccoli).

I stronchioni: malattia che prende ai piedi, principalmente ai maiali ed alle galline (dolori ai piedi che impediscono di camminare normalmente; ogni volta che si prova a mettere i piedi per terra, si sente dolore).

I strufili: sfrizzoli (escono dopo aver fatto l’assogna).

Immasto: Sella per asino, basto.

Impasinato: ammucchiato, accatastato (riferito a legna, sacchi o altro).

Inice: Sasso o qualcosa a forma di uovo che invogliava le galline a deporre le uova o “a fetare”.

Irre e orre: indecisione, avanti e indietro.

Jaqquili: Corde legate “all’immasto” (fisse) che servivano al trasporto della legna (fascine, canne, bigonci).

L’acqua de viscì: Acqua gassata.

L’anima do fienile: Il bastone nel centro di un pagliaio.

L’arcione: legno curvato ad arco che si mette sulla sella (l’immasto del somaro).

L’aroplano: L’aereo.

L’ogna: l’unghia.

L’onto: il lardo.

La mucia: Vedere gente che fa qualcosa di interessante o mangia.

Lane: là.

Lapise: matita.

Lavatora: Arnese di legno utilizzato per molti usi.

Lavatore: lavatoio.

Lecche: Percosse forti.

Lecchete i baffi: Leccati i baffi, aveva più significati.

Legacci: Pezzi di elastico che serviva per tenere su i calzini.

Lengua: lingua.

Lentime: Lasciami andare.

Lercia: Sporca.

Li sopre: La sopra.

Lippe o a nizza: Gioco da monelli composto da due pezzi di legno (uno lungo ed uno più piccolo).

Lippelà: Per indicare un posto non preciso.

Loddopri: Lo usi.

Luffo: L’anca.

Luppala: L’upupa (uccello).

M’piccetta: Persona che si intromette negli affari altrui, che si impiccia.

Ma levite: Ma smettila.

Maese: Maggese, terra dei campi lavorata e sminuzzata pronta per la semina.

Magara: magari.

Magnasorge: Serpe, biscia.

Ma llevite: Ma smettila.

Mammita: Tua madre.

Manciata: Un pugno di qualcosa.

Manno fatto fichetta l’occhi: Non ci ho visto bene.

Manuzza: Mano piccola.

Marraccia: Arnese di ferro, fatto quasi a mezzaluna, per tagliare legna o altro.

Mattara: Cassapanca rettangolare di legno, dove si conservava il pane.

Mazzafetica: Salsiccia di fegato.

Mazzafionna: La fionda.

Mazzocca: Centro storico nella parte terminale dei vicoli.

Mazzocchi dell’ojarella: Pimpinella, pianta spontanea che nascendo aveva un fiore in mezzo (si mangiava).

Mazzocchio: Il centro di una pianta da orto (ad esempio “o mazzocchio de puntarelle”).

Me ‘ngiuria: mi sgrida, mi rimprovera.

Me ‘ppira: mi soffoca.

Me ’ccora: Mi fa prendere pena.

Me ’ppiro: Mi soffoco.

Me ’rrizzo: Mi alzo.

Me corgo: mi distendo, mi riposo.

Me dole: Mi provoca dolore.

Me pela: Mi scotta.

Me raspichi: mi graffi.

Me rizzo: mi alzo.

Me so ’ccommitata: Mi sono aggiustata, mi sono messa comoda.

Me trillica: mi fa il solletico.

Mecolicchie: Piccoli nei, lenticchie.

Mella li a i petalini: Buchi nei calzini.

Mella: mela.

Merascole: Ciliege piccole.

Merco: Ferita che lascia un segno.

Miccia: L’asina femmina.

Minsuavo: Nominavo.

Monta su: Sali su.

Morca: Deposito di olio di oliva o altri liquidi.

Morzelletti: dolci tipici paesani.

Movite, smucinate: Muoviti, sbrigati.

Mpediconato: Persona robusta, o con atteggiamento fiero o altero.

Mucco o mucio: Viso, muso.

Munello: bambino.

Munnulo: bastone con straccio umido o fatto col sambuco per pulire il forno dalla cenere.

Mutanne: Mutande.

Mutata: (camiciola e carzoni), significa cambiarsi d’abito con camicia e pantaloni.

Mutatella: Vestito nuovo.

N’ciampichi: Inciampi.

Na ’llamata: Una frana.

Na frascata: Un ramo di albero sul viso.

Nassimo: Andammo.

Nespili: nespoli.

Nipoti: tralci delle viti che vengono tolti e buttati via.

Nistasio: Anastasio.

Nun ’duini: Non indovini.

Nun minzuà: Non menzionare, non nominare.

Nun se fura: significa non si passa, per troppa gente.

Ova cuje: Uova marce, cattive.

Padollo: Trampolo alto dove si mettevano a dormire le galline.

Pajariccio: Materasso di foglie.

Pajatana: Parietaria.

Pajiarozza: Cumulo di fieno o paglia; oppure piatto da portata troppo pieno o alto.

Pajina: Muffa.

Pannone: Canavaccio da cucina.

Parannanza o zinale: Grembiule per chi sta in cucina.

Parchetto: pianerottolo tra due rampe di scale.

Parete: Sembrate.

Parito: Tuo padre.

Pasima: Affanno, persona con asma.

Pasina: Legna accatastata.

Pasqua rosa: festa di Pentecoste. I festeggiamenti duravano tre giorni: dalla domenica al martedì. Il primo giorno era dedicato alle celebrazioni religiose; il lunedì, dopo la visita alla catacomba di Santa Teodora, vi era la processione per le vie del paese. Il martedì, infine, era dedicato ai festeggiamenti in onore di San Sisinio e tutti partecipavano con fede alla celebrazione della Santa Messa.

Passone: Paletto di legno.

Pastocchia: favola.

Pecionata: Cosa fatta male.

Pedicinetto o pedicino: Sacco con legumi o grano, di piccole dimensioni.

Pedicone: Tronco dell’albero tagliato corto.

Persica: pesca.

Pettinicchia: Pettine con denti sia da una parte che dall’altra.

Pettorina o a callarina: Mettersi seduti o in piedi a prendere

Pezzata: Involucro di stoffa che conteneva varie cose.

Pianetta: Zona di terreno pianeggiante.

Piantinaro: Seminato di verdure.

Piccapanni: Attaccapanni.

Picchino: appendiabiti.

Piezzo: Pezzo di legno.

Pignoli: Pinoli.

Pilotto: Dare tormento e fastidio agli altri.

Piluccio: Pentola di coccio dove si cuocevano i fagioli vicino al fuoco.

Pjolo: Prendilo.

Pipinaro: Tanta gente.

Piri: Pioli per scala (pezzi di legno).

Pisciarello: Piccolo filo d’acqua.

Pistarola: Attrezzo di legno a forma quadrata o rettangolare,

Pizzancotte: crepes salate arrotolate e ripiene di pecorino (piatto tipico rignanese).

Pizzutalapise: temperino, temperamatite.

Plonchise: Soprabito.

Provenna: Scorta alimentare.

Prunga o prungoni: prugne.

Puccio: Persona poco seria o affidabile, pupazzo.

Pucini: Pulcini.

Pujello: Mani unite per portare qualcosa.

Pulacca: Specie di corpetto o gilet per le donne.

Pummidori: pomodori.

Pupo: Neonato.

Quane: di qua.

Quatriquala: Graticola.

Quesso de… Quello de…: individuare una persona collegandola alla famiglia o ad un membro di essa.

Rada: Due pezzi di legna, legati con il fil di ferro a dei pezzi di canna stretti l’uno all’altra dove si mettevano ad asciugare i fichi secchi.

Rancite: Arrangiati.

Ranco: Crampo.

Rasola: Piccolo quadrato di terreno.

Rasore: rasoio.

Raspichi: graffi.

Rastello: Rastrello.

Ratica gialla: Carota.

Rattatujo: Disordine.

Recchia: orecchio.

Ribelo: Copro.

Riccapezzi: Raccapezzi, ci capisci.

Ricorgo: termine agricolo; si prende un tralcio lungo di una vite, lasciato di proposito, e lo si mette a terra e ricopre. Quando ha germogliato, viene tagliato dalla vite madre e va avanti da se, avendo fatto le radici.

Rigaje: Interiora di pollo.

Rincioppolo: Rammendo fatto male.

Riperticamo: Ce la facciamo.

Riverboro: Riverbero.

Rompazzo d’uva: Grappolo d’uva.

Roncio: Arnese di ferro a mezzaluna, che da una parte fa da “marraccia” e sopra ha due ferri per tagliare.

Rozziche: Ruote piccole di legno che si ricavavano da un tronco d’olmo per fare “carrettelle” per giocare.

Rucele: Ulcere che si formano in bocca.

Rufala: Forfora.

Ruzzà: Giocare.

Ruzza: Ruggine.

Saccocce: tasche.

Saccoccino: taschino della giacca.

Santambele: Statua.

Sarci: Ramoscelli di salice.

Sarrecchio: Attrezzo per tagliare il grano formato da lama e manico di legno.

Sartapicchio: cavalletta.

Sarvietto: Tovagliolo.

Scallaletto: Scaldino per il letto.

Scallino: Recipiente metallico che si riempiva di brace per riscaldarsi.

Scancina: Rientranza nel muro con ripiani.

Scannalosa: scandalosa.

Scapijata: Spettinata.

Scarrarola: cancelletto.

Scerne: significa che non si può vedere una persona.

Scervellà: Lambiccarsi il cervello, scervellarsi.

Schina: schiena.

Schioppo: fucile.

Sciamerga: donna poco affidabile.

Sciancato: Zoppo.

Sciapa: Insipida, antipatica, stupida.

Sciuttamano: Asciugamano.

Scolabrodo: Colino.

Scoppà: Scoppiare, ma anche sbattere qualcosa.

Scorsolato: Ferito, lacerato.

Scorzo: Recipiente per la preparazione del mangiare del maiale;

Scursione: Conseguenza di una infiammazione.

Sdemogno: Sciolgo, smonto.

Serci: sassi.

Seta: Setaccio con rete fina.

Setele: Piccole ferite o tagli sulle mani o sui piedi.

Sgargamella: schiaffo.

Sgommarello: mestolo per prendere minestra, brodo o altro.

Sgubbia: Attrezzo agricolo per togliere il seccume dalle olive.

Sì ‘n sinsilo: persona di animo cattivo, perfido.

Sì ‘na munnolona: sei disordinata, vestita male.

Si dojosa: Sei lamentosa.

Sì fatto a roncio: sei fatto male.

Si zardosa: Sei audace, azzardi.

Silichicchio: Grasso andato a male. Rancido.

Sinsili: Piccole scaglie di vetro.

Sinsolo: Persona di animo cattivo, perfido.

Sivala o sivola: Recipiente di coccio per lavare i piatti.

Socco: tronco di legno.

Sorghi: Solchi per la semina.

Sorita: Tua sorella.

Sorva: Sorbe.

Spaccio: tabaccheria.

Spanni i panni: Stendi il bucato.

Spannolisci: Sbadigli.

Spasa: tante cose per terra o al sole.

Spianatora: Tavola di legno per fare la pasta.

Sporzino: Pezzetto di spago.

Stative: Sembrate due statue.

Stefine: Rovi appena nati.

Stellette: Quadrucci di pasta fatta a mano.

Stennarello: matterello per la stesa della pasta.

Stommico: Stomaco.

Straccali: Bretelle.

Strampellone: Persona molto alta.

Streppà: Lavorare il terreno, togliendo le erbacce ed i rovi, per poi arare.

Stronchioni: Male alle gambe.

Strufili: sfrizzoli di maiale.

Sualoni: Stivali.

Sune: lassù.

Suro: Tappo di sughero.

Tacchite: Agganciati, attaccati.

Tana: quando si batte la mano al muro per salvare il compagno che è stato individuato giocando a celo.

Tata: Papà.

Te ce ribelo: ti ci copro.

Te merco: Ti ferisco lasciandoti un marchio.

Te minsuavo: Ti nominavo.

Te ne vane in ciampanelle: in un discorso, quando qualcuno passa allo scherzo o prende le cose alla leggera; oppure si perde in chiacchiere e non lavora.

Te riccapezzi: Ci capisci.

Te scinico: significa ti distruggo, ti riduco in polvere; si scinicava il granturco.

Te strascino: ti trascino.

Ticamella: Tegamino, pentola.

Tinozza: Recipiente piccolo e basso usato per fare il bucato o per lavarsi.

Tizza so foco: Attizza, ravviva quel fuoco.

Tofo: tufo.

Torso: Torsolo.

Tossa: tosse.

Trapasso d’aria: Corrente d’aria.

Tresemarino: rosmarino.

Trillica: Solletica.

Trizzica: Trema.

Trocchio: Recipiente dove mangia il maiale.

Troni: Tuoni.

Trosce: Pozzanghere d’acqua.

Un puiello: due mani unite per portare qualcosa.

Un rampazzo d’uva: un grappolo d’uva.

Vaga: Chicchi d’uva.

Velignà: Vendemmiare.

Verga: pezzo di legno che serve per domare gli animali e tenerli a bada.

Verte: Bisaccie da portare a tracolla o appesa alla sella delle bestie da soma.

Vetrina: Mobile da cucina.

Visavì: armadio.

Zappone: Zappa.

Zeppolo: Pezzo di legno con punta affilata usata come forchetta.

Zezzitore: sedile.

Zugà: Nel lavaggio sfregare i panni a mano per togliere le macchie.

Proverbi

A casa dei poretti nun mancano i tozzi.

(A casa dei poveri non manca niente)

Quanno Sant’Oreste se mette ‘o cappello, corri contadino a pjà l’ombrello.

(Quando il monte Soratte/Sant’Oreste si copre con le nubi, corro contadino a prendere l’ombrello [perchè arriva il temporale])

A processione da do scappa rientra.

(La processione da dove esce rientra)

Quanno vje’ a candelora dell’inverno semo fora; ma se piove e tira vento, dell’inverno semo dentro.

(Quando viene la candelora=2 febbraio dall’inverno siamo fuori, ma se piove o tira vento ne siamo ancora dentro)

Se piove il 4 aprilante, piove 40 giorni sonante.

(Se piove il 4 aprile, piove per 40 giorni consecutivi)

Moje e bovi dei paesi tui.

(Moglie e buoi dei paesi tuoi)

L’arbero se ‘ndrizza da piccolo.

(L’albero si raddrizza da piccolo)

Quanno un omo se mette a callarina, se vede che a morte s’avvicina.

(Quando un uomo si mette al sole, si vede che si avvicina la morte)

‘sto vicoletto stretto stretto se magna a casa co’ tutto ‘o tetto.

(Questo vicolo stretto si mangia la casa e tutto il tetto)

A chi tocca nun se ‘ngrugna.
(A chi tocca, tocca. Non serve prendersela.)

Omo de panza, omo de sostanza.
(Uomo robusto, uomo forte [La pancia è vista come simbolo di buona salute].)

Quello che nun strozza ‘ngrassa.
(Ciò che non uccide, rende più forte.)

Se stava mejo quanno se stava peggio.
(Si stava meglio quando si stava peggio [Le novità non sempre portano ad un miglioramento].)

Mejo faccia tosta, che panza moscia.
(Meglio fare la faccia tosta che avere la pancia vuota.)

Testa che nun parla è cucuzza.

(Testa che non parla, è vuota come una zucca)

Er core nun se sbaja.
(Il cuore non si sbaglia.)

Pe’ cconsolasse abbasta guardasse addietro.
(Per consolarsi basta guardare chi sta peggio di noi.)

Su li gusti nun ce se sputa.
(I gusti non si discutono.)

Male nun fa’, paura nun avé.
(Chi non fa del male non ha nulla da temere.)

Mejo esse’ amato che ttemuto.
(È meglio essere amati che temuti.)

Mejo ‘nvidiato che compatito.

(Meglio essere invidiato che compatito.)

Morto ‘n papa se ne fa un antro.
(Morto un Papa se ne fa un altro [Nessuno è indispensabile].)

Troppi galli a cantà, nun se fa mai giorno.
(Quando parlano in troppi, non si passa mai i fatti.)

Er più pulito cià ‘a rogna.
(Siamo tutti dei peccatori.)

Chi mena pe’ pprimo mena du’ vorte

(Chi picchia per primo picchia due volte.)

Poco a gnente jè parente.

(Poco a niente gli è parente, o poco e niente sono parenti.)

Quanno er porco rifiuta la ghianda vordì ch’è sazio.

(Ovvero: quando il maiale rifiuta la ghianda significa che è sazio.
Proverbio simile a: Gallina che nun becca è ssegno ch’ha ggià beccato)

 

Omaggio ad Orlando Genovesi detto “Paladino”

In una sezione che raccoglie il dialetto, non può mancare un omaggio al poeta dialettale rignanese per eccellenza e, per questo motivo, riportiamo la sua biografia ed alcune poesie tratte dal volume “Le poesie di Paladino” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Rignano Flaminio nel dicembre 1997).

ORLANDO GENOVESI

Poeta dialettale rignanese, più conosciuto come Paladino, nasce il 14 dicembre 1885. Studia dapprima a Velletri, poi a Sant’Oreste con il vecchio parroco come precettore. Da giovane visita Parigi, serve la patria nella Grande Guerra per tornare, a pace conclusa, al suo lavoro di agricoltore che ama tanto quanto la poesia. Collabora negli anni Venti con il settimanale umoristico “L’Amico Cerasa” e partecipa nel 1939 alla “Seconda ora del dilettante”. Dopo una lunga vita dedicata alla poesia muore il primo ottobre del 1969.

A lui è stato dedicato il Teatro Comunale da parte dell’Amministrazione Comunale il 25 gennaio 1998 “per aver tramandato in versi la cultura, i costumi e le tradizioni popolari del paese” (come si legge nella motivazione).

‘u sciabolone longo de ‘u balio

Che scena ieri sera su ‘u consijo!…

ce mancò ‘n pelo che ‘n ce fu un duvello

pe’ ‘u sciabolone longo de ‘u balio

‘ntra ‘u segretario e ‘u sinnico Pepello.

Madonna, come s’erino incagnati…

‘u segretario ‘a bava ce buttava,

e Pepello, co’ l’occhi infucinati,

io me credevo che su lu magnava!

Dall’inferno parevano scappati!

“Dimme un po’, Segreta’, ma che sarrebbe

‘stu sciabolone sopra ‘u tavolino…”

(“Ma una ronca pe’ tutti ce vorrebbe…!”,

disse de là de fora Tajolino).

« ‘Sta sciabola, sor Si, l’ho ordinata

pe’ ‘a guardia, ‘ccosì fa’ bona figura

quanno ‘ndossa ‘a montura de parata

p’accompagnallo, ‘u sinnico, ‘n Pretura”.

“Tu qui commanni quanto a briscoletta

‘u due de coppe, faccia d’arlecchino,

a’ da fa’ solo quello che te spetta,

ce senti o nun ce senti, burattino?

Che è che fa e disfà, qui, mo’ so’ io

e ‘u segretario ‘n ‘è che ‘u scrivanello

ch’ha da sta’ sotto a ‘u sinnico e a ‘u consijo,

sinnò c’è chi te crocchia, fijo bello!

E, pe’ ‘mparatte, manco si te scanni

tu lu firmo ‘u mannato, sor minchione.

Giacchè tu fai e disfai, e spenni e spanni,

viètte paganno ‘ntanto ‘u sciabolone!”

“Ma ‘u sciabolone è bello che pagato,

perch’io sai quanto li prezzo i bajocchi…

e me fai ‘n baffo si ‘n firmi ‘u mannato.

Tiè, tu lu strappo su ‘a croce dell’occhi!”

“Per la madosca, questa adè ‘n’offesa,

chiappetime, sinnò lu fo’ a pezzetti,

perch’io so’ peggio d’un cane da presa.

I denti me se so’ belli che stretti!”

Fij de Cristo, successe un para e pja…

se messino tramezzo i consijeri

(che ‘u diavolo li porti tutti via),

si no era sangue fra ‘sti du’ guerrieri!!!

‘a pastocchia

M’aricordo quann’ero piccoletto,

che nonna nun lasciava mai ‘a canocchia

e tutte ‘e sere prima da i’ a letto

m’ariccontava sempre ‘che pastocchia.

Una sera, che freddo! là pe’ ‘e mano

me c’erino vienuti i ciufoletti,

nonna m’ariscallò, poi, piano piano,

disse ‘a pastocchia de Giano e Sbronzetti.

Dunque: “C’era ‘na vorta”, disse nonna,

“un paese ch’era in grazia de Dio,

de’ Santi Protettori e de’ ‘a Madonna,

che se chiamava Giano, fijo mio!

Giano era largo e longo, bono e bello

e ‘mmezzo ‘a piazza c’éva un gran cannone

e lì vecino c’éva un gran castello

che ‘na vorta serviva da prigione.

Poi c’éva ‘na bell’arma co’ du’ fronte,

‘e catacomme de Santa Chiodora,

Sant’Abbonno e ‘a cascata de Cognonte

e ‘a Madonna d’e Grazie ‘n po’ più in fòra.

E pe’ tutte ‘ste belle qualità

Giano adera un paese arinomato!

Bastava ch’uno c’éssi a capita’

p’arimane’ de botto ‘nnamorato!…”

Poi nonna dette l’occhi su ‘a conocchia

perché gn’era rimasti ‘u fuso ‘mmano,

e me disse: “Tu funirò ‘a pastocchia

un’antra vòrta, de Sbronzetti e Giano.

Mo’ ‘u lume se comincia a ‘ncecali’

e ‘a stoppa m’è funita e pe’ stasera

adè mejo da ìssene a dormi’.

Ma a Gesù, prima, s’ha da di’ ‘a preghiera”.

Tra ‘na rignanese e ‘na faleriana

“E si’ matto Faleria quant’è bella?

Drent’un pozzo me pare sprefonnata,

co’ ‘a nebbia che je fa da sentinella!

Poi, quella che ‘nnamora adé ‘a parlata!

“Ngazete che te ‘n zecco, Filumè.

Commari Nu, aretina ‘o pitalo’,

chè fòra de ‘a finestra nu’ sta be’

perché ‘momendi passa ‘a predissio’”

“Rignano è mejo, te pja ‘n accidendi,

voi séte stradaroli e bammocciari

e arzéte la banniera a tutti i vèndi.

Po’, quanno discorrete séte cari!

“Dignili, gna l’hai ditti, Madalè,

a Menicuccia che vienissi qua?

Mettulu quèsso che lì nu’ sta be’,

te pja ‘n gorpo, te pozzino ‘mmazza’!”

“E Faleria è ‘u paese de’ giallone,

voi séte come i fichi fatti all’ommara,

e tu che parli si’ come un melone,

si’ ‘na spaporchia, si’ come ‘na gnommara…!”

“E te se véde a ti quanto si’ bella,

ce l’hai ‘na bocca che me pare ‘n forno,

si’ proprio come ‘o culo de ‘a padella!

E prima de parla’ girete ‘ndorno!”

“Ma scàrgala più là ‘sta pozzolana,

perché ‘gni rignanese è cittadina

a petto de qualunque faleriana;

de voi ‘a più ripulita è ‘na burina!

Chè a Faleria nun c’è manco ‘a stazione

e sempre sotto a noi ve tocca sta’;

piantala, dunque, grugno de montone,

fa la mosca, sta’ zitta, nun fiata’”.

“E io te canderò: “Fior de ‘nzalada,

c’ài la capoccia mezza ‘nnacquarida

e te la vojo fa’ la serenada,

brutta rignanesaccia scemendida!”

 

L’inno di Rignano: “La Velocissima”

La canzone il cui testo si riporta di seguito, si cantava sin dal 1920. Gli autori erano due rignanesi del popolo: il primo, Noè Fontana, era un postino e ciabattino; il secondo, Isaia Moriconi, un contadino. Isaia, clarinettista come il suo amico, era divenuto capobanda del complesso bandistico di Rignano. Erano molto conosciuti nelle osterie e, probabilmente, proprio lì fu scritta “La Velocissima”, che divenne subito popolare.

 

Noi semo de Rignano li più belli,

noi semo de Rignano i più veloci,

volamo come uccelli, volamo come uccelli,

quanno c’è da magnà, sì da magnà.

Ce piace er bicchierozzo, er bicchierozzo,

de vino quello bono, quello bono,

nun ce sarà n’antr’omo, che po’ paragonà.

Noi semo sempre uniti, e senza aver pensieri,

svotamo li bicchieri, der vino e quer mi fò.

Semo sempre veloci, uguali a ’na saetta,

giocamo a bazzichetta, embè che c’è, che c’è.

C’avemo er presidente un pacioccone

ch’è fatto proprio pe’ stà coll’amici,

’na cosa che je dici, ’na cosa che je dici

è fatta là per là, sì là per là.

E noi che semo tutti quanti soci,

imitamo er presidente, er presidente;

dove nun se fa gnente, corremo a lavorà.

 

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